martedì 30 dicembre 2008

Lettera da Ramallah di Mustafa Barghouthi e Francesca Borri


Ramallah, 27 dicembre 2008.

E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l'elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa.

Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare, il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di distrazione di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La
fine dell'occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro?

Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l'indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli.

Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?, una clinica forse? delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita.

Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori. La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

Mustafah Barghouti con Francesca Borri

lunedì 29 dicembre 2008

FERMARE IL MASSACRO A GAZA


Continuano i bombardamenti su una popolazione assediata da due anni e assiepata nella striscia di Gaza. Israele prepara l’invasione da terra.
L’obiettivo dichiarato del Governo Israeliano è Hamas. Le vittime reali sono uomini e donne che non possono neppure scappare.
L’attacco di questi giorni non ha fermato i lanci di razzi contro il sud di Israele, e mette semmai maggiormente in pericolo le città del sud.

L’assedio di Gaza dura da due anni interi.
Tutte le leggi internazionali sono state violate da Israele in questi anni, senza che ne pagasse alcun prezzo.
E’ una solidarietà sbagliata e controproducente per lo stesso popolo israeliano e per la stabilità di tutto il mondo.
In nome della difesa di città assediate la comunità occidentale ha fatto la guerra, nel decennio passato. Ora tace.
Neppure il massacro di queste ore smuove la comunità internazionale

Cessare il fuoco subito e fermare l’invasione non può essere un invito.
Deve essere un ordine delle Nazioni Unite.
Deve essere imposta la fine dell’assedio, la fine dei preparativi dell’invasione e la riapertura della striscia.
Devono essere imposti tempi, contenuti, modalità di un negoziato su basi eque e fondato sul diritto internazionale.

La comunità internazionale perde la sua dignità ogni volta che un civile perde la vita, in queste ore

domenica 28 dicembre 2008

SE C’E’ UNA COMUNITA’ INTERNAZIONALE FONDATA SUL DIRITTO, CHE BATTA UN COLPO OGGI. PER GAZA.


Una città assediata: senza acqua, senza cibo, senza luce. Da mesi e mesi. Da mesi e mesi e mesi e mesi e mesi. Assediata, come nel Medioevo.

Contro ogni legge, contro ogni diritto. Nessuno ha il diritto di affamare il popolo. Nessuno nel mondo, per nessuna ragione al mondo.

Gaza, una città assediata dove i bambini continuano a andare a scuola. E dove cadono le bombe mentre i bambini escono da scuola. Duecento morti, oggi a Gaza.

Chi crede ancora che Hamas e i suoi razzi possano essere fermati da altre morti innocenti? Chi ancora ci può credere? Duecento morti fanno campagna elettorale, nella Israele di oggi.

C’è ancora una comunità internazionale? Bush è finito, ringraziando il cielo. C’è una possibilità per la ragione di tornare a farsi sentire? Se c’è, che qualcuno batta un colpo. Ora.

Batta un colpo l’Europa, se ha un’anima. Batta un colpo la politica europea, quella dei governi e quella delle opposizioni.

L’Arci, che in tanti paesi del mondo lavora per la pace e la giustizia, solo a un popolo dedicherà la sua campagna di aiuto popolare nell’anno che viene. Solo ai palestinesi.

Non perché siamo anti israeliani. Al contrario. Siamo contro l’ignavia, che aiuta il diffondersi della follia. Vogliamo la pace in Medio Oriente. E la pace non viene se non c’è giustizia.

Non c’è giustizia dove c’è un popolo assediato. Mai.

domenica 14 dicembre 2008

I nostri Manifesti

APERTA-MENTE ottobre 2009

2a FESTA CIRCOLI GIOVANILI 2009



Nessun uomo è illegale 2009





Manifesto "Festa dei Circoli Giovanili dell'Arci Taranto" 2008





Cartolina Festa dei Circoli Giovanili 2008



Logo Festa Circoli Giovanili 2008






Biennale OFF - Puglia 2008






Carovana Antimafie 2008




Tutti i nostri manifesti sono stati realizzati da Giovanni Simonetti





mercoledì 10 dicembre 2008

Tesseramento 2016








L'Arci di Taranto lancia la campagna tesseramento 2016




E’ aperta la campagna tesseramento 2016 all’Arci: una campagna che per la nostra associazione, come ogni anno, ha un forte valore, simbolico, culturale e politico. Per l’Arci, infatti, il rinnovo della tessera non è un atto meramente burocratico, ma è il sostegno a un progetto, è la conferma di voler contribuire alla prosecuzione di un grande percorso collettivo.La tessera, insomma, per noi è quel pezzettino di carta, cartoncino o plastica, che ha rappresentato nel corso degli anni un mattoncino fondamentale per costruire un edificio solido e robusto, dando il senso dell’appartenenza di milioni di associati che si sono riconosciuti in un’organizzazione, nei suoi valori e nei suoi ideali. Un’organizzazione che è anche e soprattutto un luogo collettivo: un luogo che mette al centro dei suoi progetti le persone, e che permette ai cittadini di essere liberi protagonisti della costruzione di una società più giusta. È grazie alla passione e all’idealità dei soci e dei circoli, distribuiti in terra di Taranto, che la nostra associazione di promozione sociale è impegnata nell’organizzare manifestazioni, iniziative e incontri volti a diffondere la cultura della socialità e la voglia di stare insieme. Durante l’anno appena trascorso siamo stati protagonisti di importanti e significativi appuntamenti, come la Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo, la Festa della Musica, la Carovana Nazionale Antimafie, la Maratona Arci dei Diritti Umani. È tramite iniziative e campagne come queste che l’Arci promuove la cultura della pace e dei diritti, con la convinzione che un mondo migliore è possibile, e che lo si può costruire anche a partire dalla nostra terra, in virtù del valore fondamentale della partecipazione democratica e della cittadinanza attiva. Coloro che siano interessati ad avere informazioni sulle nostre attività possono rivolgersi al Comitato Territoriale Arci di Taranto, in c.so Vitt. Emanuele n.70 - Taranto-Talsano, (tel. 3883014428, e-mail taranto@arci.it) o ai circoli del territorio.


martedì 9 dicembre 2008

Fare un circolo


Siamo un gruppo di amici musicisti che vogliono suonare e provare, e invitare altri amici ad ascoltare ma non sappiamo dove andare
Abbiamo la passione del cinema, vorremmo organizzare delle piccole proiezioni pubbliche, e un ciclo di incontri. Ma come si fa a ottenere una sede?
Vogliamo impegnarci in qualcosa di concreto per aiutare chi è in difficoltà. Vogliamo provare a cambiare il mondo impegnandoci in prima persona…come possiamo fare?
La risposta è semplice: se tu e i tuoi amici avete un interesse, una passione, la voglia di mettersi in gioco, costruite un’associazione e diventate un circolo Arci.
Costruire una associazione dà al vostro progetto gambe solide su cui camminare. Può essere una grande esperienza di vita, costruisce relazioni, è un momento formativo importante anche dal punto di vista lavorativo.
Aderire all’Arci ti fa entrare nella più grande rete associativa di cultura e solidarietà del nostro Paese.
MA COS’È UN CIRCOLO?
È un’associazione fra persone che vogliono promuovere insieme un’attività culturale, ricreativa, di solidarietà, senza fini di lucro.
E COME FUNZIONA?
L’Atto costitutivo è l’atto di nascita dell’associazione, e lo Statuto è l’insieme delle norme che regolano la vita del circolo, che valgono per tutti i soci. L’affiliazione è l’atto di iscrizione e di adesione del circolo ad una associazione nazionale, nel cui statuto il circolo stesso si riconosce.
La tessera sociale documenta l’iscrizione del socio al circolo e all’associazione nazionale, consente di partecipare alle iniziative e alle attività del circolo e dell’associazione di riferimento. Il socio in regola con il pagamento della quota sociale può partecipare alle attività del circolo; è inoltre facoltà del circolo stesso consentire l’accesso ai soci dell’associazione nazionale cui esso aderisce.
La vita associativa. L’assemblea è costituita dai soci del circolo, decide il programma annuale, vota il bilancio, elegge il consiglio direttivo. Il consiglio direttivo predispone e applica il programma, elegge il presidente, esegue il mandato progettuale dell’assemblea. Il Presidente è anche, di norma, il legale rappresentante dell’associazione. Il programma è l’insieme delle attività e delle iniziative decise dall’assemblea su proposta del consiglio direttivo; la sua realizzazione, al di là di tutte le definizioni giuridiche e teoriche, è ciò che esprime realmente la natura del circolo. Il bilancio è il documento che riporta i movimenti relativi alla gestione delle attività, alle spese generali, al tesseramento e presenta all’assemblea dei soci la situazione del rendiconto economico e finanziario obbligatorio per legge dal 1998.
QUANDO NON SI PUÒ COSTITUIRE UN CIRCOLO?
Un circolo non é un negozio o un bar, non “si apre”, ma nasce dall’iniziativa di cittadini che, senza fini di lucro, si associano per sviluppare un comune interesse, quindi non ci sono “padroni” o “soci fondatori” (dotati cioè di diritti particolari).
È invece possibile attraverso le forme consentite dalla legge, lavorare in un circolo e ricavarne un proprio compenso in modo del tutto legittimo.
Un’associazione, aderendo all’Arci troverà sostegnoconsulenzeserviziconsigli:
  • consulenza (legale, fiscale, associativa) sulla normativa in vigore;
  • assistenza legale e servizi assicurativi;
  • convenzioni commerciali per gli acquisti;
  • sostegno alla progettazione di attività culturali e di promozione sociale;
E farai parte di un grande progetto associativo.
Come mettermi in contatto con l’Arci?
Chiamaci alla sede del Comitato Provinciale Arci, trovi i nostri numeri su Contatti oppure inviaci una mail a taranto@arci.it

sabato 19 aprile 2008

Pratiche di democrazia

INTERVISTA AL SOCIOLOGO CANDIDO GRZYBOWSKI
Pratiche di democrazia
«Solo una società fondata sulla cittadinanza attiva può contrastare la globalizzazione neoliberista», sostiene lo studioso e attivista brasiliano, tra i «padri fondatori» del World Social Forum.
Giuliano Battiston
Secondo il sociologo brasiliano Cândido Grzybowski, tra i «padri fondatori» del World Social Forum, bisogna approfittare dell'apertura dello spazio politico emerso dalla crisi economica per costruire alternative che «rafforzino l'autonomia e al tempo stesso la complementarietà dei popoli». Per cambiare i connotati della globalizzazione neoliberista, «che domina le diversità trasformandole in disuguaglianze strutturali», occorre «agglutinare le forze», cogliendo l'occasione per riconquistare l'autonomia dei cittadini nei confronti dei poteri statali e dell'economia di mercato. All'«individualismo predicato e praticato dal modello neoliberista», infatti, non si può che opporre una nuova cittadinanza globale che «derivi dalle battaglie sociali e che sia in grado di fortificare la diversità dei soggetti collettivi», assicurando a tutti il diritto di partecipare alla cosa pubblica.
Per Grzybowski anche la democrazia può trasformarsi in un serio rischio, se «si limita al formalismo della rappresentanza e rimane incapace di generare una società fondata sulla cittadinanza attiva», che dia visibilità anche a quanti sono socialmente invisibili. Per fare tutto questo bisogna «pensare audacemente, molto audacemente. E costruire senza paura un nuovo immaginario». In Italia su invito del Festival Internazionale del Giornalismo, lo abbiamo incontrato a Roma, nella sede dell'Arci, dove ha partecipato a un incontro del Coordinamento italiano per il World Social Forum.

Per gli «altermondialisti» la crisi finanziaria è un'opportunità per sbarazzarsi dell'attuale sistema politico-economico e disegnare una nuova architettura delle relazioni internazionali che sia realmente inclusiva. Per lei è anche un rischio: di recente ha scritto che, se non riusciremo ad approfittare di quest'occasione storica per dare forma a una vera democrazia globale, «dovremo fare i conti con un reincarnazione del capitalismo peggiore di quella attuale». Quali strumenti suggerisce di adottare per trasformare il rischio in opportunità?
La crisi dimostra semplicemente che il sistema non è sostenibile e non funziona, ma per individuare priorità e percorsi da compiere c'è bisogno di una riflessione strategica: la crisi apre le porte, ma non indica quale strada seguire, né, tanto meno, offre gli strumenti con cui edificare un nuovo sistema. Quegli strumenti vanno costruiti pezzo per pezzo. I sostenitori del modello neoliberista, e gli stessi governi che a quel modello hanno «aderito», non hanno idee da proporre; discutono solo dei modi per evitare che accada il peggio, in particolare di come mantenere un certo livello di occupazione, e gli stessi movimenti sociali sembrano orientati in questa direzione. Quella del lavoro è una questione importante, che però rischia di farci dimenticare come già prima della crisi il lavoro non fosse garantito a tutti. Chi pensa a quella parte cospicua della popolazione mondiale che non ha mai avuto lavoro, che prima della crisi non aveva prospettive di ottenerlo e che ora vede la propria posizione peggiorare? Soluzioni facili non ce ne sono, ma proprio per questo dobbiamo lavorare con maggiore determinazione per coagulare forze e capacità, tessere alleanze e riflettere. Soprattutto, sulla base degli insegnamenti dei movimenti indigeni dell'America Latina e del Sud, dobbiamo riconoscere la necessità di decolonizzare le nostre menti. Finora per criticare il capitalismo e i suoi effetti abbiamo usato prevalentemente le categorie del marxismo, che in qualche modo suggerivano l'idea che con l'incremento delle capacità industriali avremmo ottenuto società migliori e più eque. Ma ci siamo resi conto che il sistema industriale con il suo «produttivismo» è parte del problema, non della soluzione. Per questo occorre ricominciare a pensare: edificare una nuova scienza, indirizzare diversamente la tecnologia, riappropriarci della ricerca scientifica privatizzata, dare forma a un nuovo modello di società. Si tratta di un cambiamento che richiederà del tempo. Ma una democrazia globale reale, che voglia essere inclusiva di tutti gli attori sociali, che sia fatta di negoziazione e partecipazione, procede proprio in questo modo: creando nuove condizioni prima ancora che indicando percorsi specifici.

La crisi produce nuovi conflitti sociali, che potrebbero coinvolgere fasce di popolazioni sempre più ampie. In un saggio scritto per la rete di attivisti Euralat, «Liberdade e igualdade com afirmação da diversidade», lei ha sostenuto che «i conflitti e le battaglie hanno un potenziale distruttivo e costruttivo. Quale dei due aspetti prevale dipende dal modo in cui sono condotte e indirizzate». Cosa dovremmo fare per promuovere conflitti che siano costruttivi e non si riducano alla richiesta di cambiamenti «cosmetici»?
Canalizzare le energie intorno a un programma politico, esercitando gli strumenti dell'ingegneria politica. Lei sicuramente conoscerà bene Gramsci, uno degli studiosi che con più lucidità ha riflettuto sui modi attraverso i quali stabilire un'egemonia e imprimere una «direzione» politica agli eventi. In questi termini, occorre «dare senso» ai conflitti. I cambiamenti strutturali accadono soprattutto nella sfera economica e in quella statale, ma dipendono in primo luogo dai cittadini. Nella storia è sempre stato così. Lo Stato non ha in sé la forza dinamica di cambiare; sono i cittadini che spingono a farlo. Lo stesso vale per l'economia, che va sempre re-inventata, e che oggi deve essere subordinata al bene comune collettivo. I conflitti attuali vanno esaminati con estrema attenzione: possiamo «banalizzare» le energie che esprimono, depotenziarle, perfino distruggerle, o lasciare che diventino il serbatoio per una nuova forma di fascismo. Per evitare tutto questo dobbiamo trarre insegnamento dalla storia: le istituzioni sono in gran parte inadeguate a rispondere alle sfide globali, anche perché rispondono a logiche di carattere nazionale. Di fronte a queste sfide servono nuove strategie integrate, di natura regionale, con cui costruire piattaforme che superino i limiti degli Stati-nazione. È un percorso difficile, perché contraddice cinque secoli di costruzione e consolidamento degli Stati. Ma è necessario. Soprattutto oggi.

Dal 1990 lei è direttore di Ibase, l'Istituto brasiliano per le Analisi sociali ed economiche, e tra i diversi progetti che Ibase porta avanti ce ne sono due particolarmente importanti: «L'Agenda post-neoliberista: alternative strategiche per uno sviluppo umano democratico e sostenibile» e «Dialogo tra popoli per costruire un regionalismo alternativo». Ritiene che una alternativa praticabile ed efficace al modello neoliberista passi anche per un'integrazione regionale di natura culturale e sociale?
I più potenti attori economici, come le multinazionali, usano le divisioni per procedere contro i bisogni della gente e nascondere la natura «comune» delle risorse. Per questo il regionalismo è indispensabile. Prendiamo il caso dell'Amazzonia, un bene comune, condiviso da nove nazioni e da un numero ancora maggiore di popoli. Praticamente tutti i popoli indigeni dell'America Latina hanno qualche legame con l'Amazzonia; popoli che spesso vedono nell'autorità statale una nuova forma di colonialismo. Affinché la loro autonomia possa essere salvaguardata e si possano edificare Stati autenticamente pluralisti, c'è bisogno di una strategia su scala regionale: da soli questi popoli non avrebbero la forza di resistere alle pressioni esterne. Preferirei però che si parlasse di regionalizzazione piuttosto che di integrazione. Quest'ultimo è un termine di derivazione commerciale: le grandi infrastrutture che attraversano l'America Latina come vene aperte (per riprendere l'espressione di Eduardo Galeano) riflettono proprio questo modello, basti pensare alle arterie commerciali destinate all'estrazione dei minerali. Il regionalismo invece non richiede infrastrutture, ma comunicazione di culture, esperienze e popoli. Solo attraverso una comunicazione del genere si potrà finalmente riconoscere la reciprocità dei diritti, dare forma a una diversa «visione del mondo», creare progetti, elaborare sogni. Prima ancora delle indicazioni «tecniche», c'è bisogno infatti di trasformare i nostri progetti in un grande movimento di idee, che investa le società e assuma la forma di una rivendicazione culturale, di una richiesta di cambiamento. Una richiesta radicale, che nel momento stesso in cui viene avanzata dimostra la sua realizzabilità: la fiducia nella possibilità di cambiare le cose può trasformare i conflitti in forze costruttive.

Dai suoi esordi, lei è uno dei protagonisti e organizzatori del World Social Forum. L'ultima edizione, che si è svolta pochi mesi fa a Bélem, in Brasile, ha visto la presenza di ben cinque presidenti di paesi latino-americani (Lula, Morales, Correa, Lugo, Chavez). In un'intervista con Alejandro Kirk di International Press Service lei ha sostenuto che il Wsf di per sé non ha prodotto la «svolta» a sinistra in America Latina, ma ha aggiunto che «se non ci fosse stato sarebbe stato difficile immaginare» una svolta simile. Ci spiega meglio cosa intendeva dire?
Intendevo dire che la svolta a sinistra è fortemente legata all'atmosfera creata dalle richieste di cambiamento dei movimenti sociali. Come dicevo poco fa, sono le idee che «attraversano la società» a spingere la politica in una certa direzione. Politicamente è stato importantissimo che i cinque presidenti abbiano partecipato insieme allo stesso evento. Ma l'elemento più rilevante è emerso dal discorso di Lula, quando ha affermato che i presidenti erano a Bélem grazie a noi, ai diversi gruppi sociali, e non viceversa. È stato un riconoscimento esplicito della forza dei movimenti sociali. Una forza che da un lato comporta una grande responsabilità per l'America Latina nel suo complesso, perché ci invita a procedere, a sperimentare nuove pratiche e adottare soluzioni non ortodosse. E dall'altro coincide con un innegabile vantaggio politico in relazione alla crisi. Prendiamo l'Europa: c'è forse un solo leader politico che sia capace di articolare un'idea degna di questo nome? Qualcuno che abbia veramente in mente delle alternative?

A proposito di Lula: quando è stato eletto per la prima volta lei ha affermato che con la sua vittoria «i poveri, coloro che sono stati marginalizzati, i lavoratori» sarebbero potuti «diventare la forza trainante nella ricostruzione della nazione», mentre in un saggio del 2007, «Which Brazil does the world need?», ha scritto: «bisogna riconoscere che il ciclo di rinnovamento democratico inaugurato con la battaglia contro la dittatura si è esaurito». Qual è «l'altro Brasile» che la democrazia brasiliana avrebbe dovuto costruire, e come giudica, oggi, il governo Lula?
Lula è quanto di meglio poteva produrre il processo di democratizzazione brasiliano. Ma non è abbastanza. Rappresenta la fine di un certo periodo della nostra storia, mentre avremmo bisogno di un nuovo inizio. Il Brasile che usciva dalla dittatura militare ha creato un sistema formalmente democratico, ma ha perso l'occasione per sviluppare una democrazia realmente inclusiva. Si stima che circa metà della popolazione brasiliana non sia organizzata politicamente, che non abbia alcuna «identità» politica. L'altro Brasile che dovremmo costruire è un paese capace di portare queste persone all'interno dell'arena pubblica, di farne soggetti politici che esercitano i loro diritti, e che così facendo contribuiscono all'affermazione di una nuova ondata di attivismo sociale. Ma occorre anche tornare a riflettere sul modello di sviluppo. In questo campo c'è stato un deficit di analisi, perché si è pensato che bastasse la democrazia formale per ottenere un cambiamento anche nello sviluppo. Invece c'era - e c'è - bisogno di alternative reali, di una riflessione democratica su come costruire un'altra economia. Quella attuale non può essere democratizzata, perché non è stata pensata per la democrazia e non è un «portato» della democrazia. Credo che sia necessario passare per una rilocalizzazione dell'economia per renderla democratica: tutti noi viviamo in qualche luogo particolare, abbiamo un «indirizzo», siamo «individuabili». Gli attori economici invece spesso non ce l'hanno. Dovremmo fare in modo che anche loro abbiano un indirizzo.

venerdì 4 gennaio 2008

La storia dell'Arci



1948/1921 DALLE PRIME SOCIETà DI MUTUO SOCCORSO AL FASCISMO
Nella seconda metà dell'800, a seguito delle profonde modificazioni economiche e sociali conseguenti all´avvio dell´industrializzazione e alla formazione dello Stato unitario, si sviluppa il movimento associativo delle classi lavoratrici. Nascono così le prime SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO e le SOCIETÀ OPERAIE DI MUTUO SOCCORSO con gli scopi principali dell´assistenza, beneficenza e mutualità, ma ponendosi fin dal principio come punto di riferimento per la nascente classe operaia . Da questo humus nascerà a Milano, proprio per iniziativa delle S.O.M.S., la prima Camera del Lavoro.Influenzate da ideali mazziniani, anarchici e socialisti, le S.M.S. perdono rapidamente la apoliticità delle origini, anche se, in assenza di una linea politica comune, alcune si dedicano esclusivamente alla beneficenza e al mutuo soccorso, mentre altre scelgono anche di impegnarsi attivamente a fianco dei lavoratori nella loro battaglia contro lo sfruttamento.Basandosi su principi quali la mutualità, la giustizia e la libertà, le S.M.S. diventano soggetti essenziali per la creazione di luoghi di ritrovo, di cultura, di istruzione e di formazione politica favorendo nel nascente proletariato la presa di coscienza della propria condizione sia politica che sociale. Tra gli impegni più importanti e più diffusi fra le S.M.S. sono da ricordare le campagne di istruzione e alfabetizzazione degli operai.Un primo tentativo di coordinarsi a livello nazionale viene realizzato con scarsi risultati nel 1899 con la costituzione della Federazione Italiana delle Società di Mutuo Soccorso. Nei primi vent´anni del 1900 il movimento associativo si sviluppa e si diversifica con la costituzione di CIRCOLI ricreativi, culturali e sportivi. Nascono in questo periodo, in particolare nella Toscana, le CASE DEL POPOLO, nuove forme di sodalizio fra lavoratori che riunificano i diversi ruoli svolti dalle S.M.S.; sedi destinate non solo all´organizzazione politica, ma anche luoghi di ricreazione dove i lavoratori possano trascorrere le loro domeniche e le ore libere dal lavoro.Negli anni della Grande Guerra lo sviluppo dei movimenti associativi viene inevitabilmente rallentato, tuttavia i CIRCOLI culturali, le CASE DEL POPOLO e le S.M.S. sono impegnati in una campagna contro la guerra e nel contempo in tutte le sedi si promuovono aiuti ed assistenza per i cittadini, per i soldati e per le loro famiglie.

1922-1944 IL PERIODO FASCISTA
L´avvento del fascismo è contrassegnato da una vasta azione che mira a distruggere tutti i movimenti di libero associazionismo ed alla loro progressiva integrazione (con le buone ma soprattutto con le cattive maniere) nel sistema fascista.Il nuovo regime, prima di abrogare tutte le libertà individuali, toglie alle organizzazioni dei lavoratori le loro sedi politiche, sindacali e associative.Il fascismo, nonostante si trovi di fronte ad una tenace resistenza, riesce a far chiudere o trasformare in "Case del Fascio" quasi tutte le sedi dell´associazionismo. Nel febbraio del 1921, lo citiamo come esempio, viene sgomberata dai Carabinieri con l´ausilio dell´artiglieria la sede della SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO di Scandicci. L´accusa di svolgere attività sovversive, la connivenza e l´intervento degli apparati dello Stato facilita l´espulsione dei lavoratori dalle sedi delle quali sono legittimi proprietari e porta, nel 1924 ad un Decreto Legge per lo scioglimento delle S.M.S. e di associazioni di questo tipo.Il colpo decisivo con cui la gerarchia fascista riesce a troncare ogni resistenza viene portato nel 1926 con le Leggi Speciali e la costituzione dell´Opera Nazionale Dopolavoro, organo questo predisposto ad assorbire nella struttura fascista tutte le forme di associazionismo

1945-1957 DALLA LIBERAZIONE DEL NAZIFASCISMO ALLA NASCITA DELL'ARCI
Con la liberazione dell´Italia dal nazifascismo rinasce la possibilità per i cittadini di autoorganizzarsi in associazioni politiche, culturali, sportive, ricreative. In questo contesto vengono recuperate anche le esperienze effettuate dai lavoratori a partire da fine ottocento, compreso il recupero del patrimonio culturale e immobiliare legati a quella fase della storia nazionale, traumaticamente interrotta dal fascismo.I cittadini, i lavoratori sono impegnati al restauro e alla ristrutturazione degli immobili usciti fatiscenti dall´incuria e dalla guerra.La volontà di creare centri di vita democratica si esprime attraverso una grande mobilitazione che comporta sottoscrizioni e lavoro volontario, nonostante le cattive condizioni economiche. Lo slancio entusiastico del dopo-fascismo non consente una sufficiente riflessione sui problemi legali, come quelli della regolarizzazione delle proprietà delle sedi sociali riconsegnate dai Comitati di liberazione; non si considera che, con la caduta del fascismo, i beni immobili del regime e delle associazioni, in quel periodo create, sono passati allo Stato. Ciò produce una situazione di incertezza del diritto che consentirà allo Stato, ai suoi organi di polizia e al Governo di avviare una azione multiforme contro il movimento associativo, specialmente quando questi è di matrice progressista e di sinistra. Già dal febbraio del 1945 l´Intendenza di Finanza comincia a reclamare come propri molti locali consegnati all´Associazionismo, riesce a sfrattare o a chiedere affitti consistenti alle forze sociali che vi sono insediate.Non sono molti i CIRCOLI che riescono ad anticipare l´azione di rivalsa dello Stato chiedendo al Tribunale la convocazione dell´Assemblea dei soci per procedere all´annullamento della "donazione" forzata fatta a suo tempo dal fascismo.Sempre nel ´45, nella seconda metà dell´anno, attraverso decreti, era stato deciso il futuro assetto di due importanti organizzazioni; l´OND (l´Opera Nazionale Dopolavoro, creata in periodo fascista) era stata denominata ENAL sotto la direzione di un Commissario di nomina governativa, il CONI era passato dalle dipendenze del Partito Nazionale Fascista a quella del Consiglio dei Ministri, senza modifiche alla legge istitutiva del 1942. Verso la fine del 1947 si consuma la rottura, a livello governativo, dell´unità antifascista, che produrrà conseguenze a cascata in tutte le organizzazioni unitarie). Sono le prime consegiuenze della guerra fredda e della divisione del mondo in blocchi. Dopo le elezioni del 18 aprile si succedono governi centristi forti. Lo Stato si accanisce contro i CIRCOLI della sinistra.La censura contro il mondo della cultura riprende ad agire. E´ in questo contesto che, mentre le sinistre cercano di conservare l´unitarietà del movimento circolistico nell´ENAL, puntando alla sua democratizzazione, prima i cattolici, poi i repubblicani, costituiscono proprie organizzazioni del tempo libero; nascono le ACLI, l´ENDAS, la GIAC, ecc.., alle quali vengono riconosciuti tutti i benefici di legge e concessa l´utilizzazione di impianti e attrezzature appartenenti all´ENAL e al Commissariato della gioventu´. Nel 1955 il Ministro Scelba firma il nuovo statuto dell´ENAL, che non accoglie nessuna delle istanze di sua democratizzazione.Matura cosi´ l´idea di costituire una organizzazione nazionale di tutti i CIRCOLI, CASE DEL POPOLO, S.M.S. che si riconoscono negli ideali e nei valori democratici e antifascisti . In Alcune province italiane si formano alleanze tra i CIRCOLI e nel 1956 si costituiscono in "Alleanza per la ricreazione popolare". Un comitato nazionale di iniziativa promosso con particolare vigore dai CIRCOLI di Bologna, Firenze, Novara, Pisa e Torino indice il convegno "per una convenzione nazionale della ricreazione".Il convegno si svolge a Firenze e discute un documento preparato dal "Comitato d´iniziativa" dove viene constatato che "manca un organismo nazionale il quale, al di sopra di ogni interesse di parte e compreso delle piu´ profonde aspirazioni civili e culturali del popolo, rappresenti l´espressione democratica di quanto di vitale esiste in questo campo. Manca cioe´ una organizzazione unitaria per la ricreazione dei lavoratori...".La convenzione nazionale approva lo Statuto della COSTITUENDA ASSOCIAZIONE RICREATIVA CULTURALE ITALIANA (ARCI) ed elegge un Consiglio direttivo nazionale di 35 membri che rimarrà in carica fino alla convocazione del congresso nazionale.La "Convenzione" e´, nei fatti, il primo congresso nazionale dell´ARCI.

1958-1960 LA NASCITA DELL'ARCI E L'ATTIVITà DI DIFESA DEL MOVIMENTO CIRCOLISTICO
La decisione di dar vita ad una organizzazione unitaria nel campo culturale e ricreativo non e´ solo legata al desiderio di contrastare le tendenze centralizzanti dell´ENAL e di competere con la vasta azione svolta dai CIRCOLI confessionali e con le iniziative ricreative dei grandi complessi aziendali, ma anche allo sviluppo, iniziato verso la metà degli anni ´50, di nuove possibilità di utilizzo del "tempo libero".L´attività delle CASE DEL POPOLO era allora caratterizzata dal lavoro partitico-sindacale e da iniziative promosse da "comitati per divertimenti" (salvo non frequenti eccezioni). L´attenzione principale era rivolta alla difesa delle sedi "popolari" dal rischio dell´esproprio e dalle incursioni degli organi di polizia che tendono a contestarne, anche, licenze e attività (a volte aiutati in questa azione repressiva anche dall´ENAL).Le forze della sinistra, costrette in posizione difensiva, stentano a sviluppare una sufficiente sensibilità culturale verso i problemi del tempo libero.Si tenga presente inoltre la condizione di attacco concentrico portato da tutti gli organi dello Stato ai CIRCOLI e all´associazione.Il tentativo di arricchire la capacità di iniziativa culturale dell´associazione inizia con la preparazione da parte dell´ARCI, assieme alla "SOCIETà UMANITARIA" di Milano di un convegno sul tempo libero.L´Umanitaria, diretta dall´azionista Bauer, ha una storia incentrata sul rapporto con la cultura europea. Al convegno partecipano intellettuali importanti come lo stesso Bauer, Mario Spinella, Doumazdier (sociologo francese).L´ARCI cerca anche di costruire, attraverso l´Umanitaria, un tavolo di incontro con le ACLI , che infatti parteciperanno al Convegno: e´ la prima occasione di incontro e dibattito con le ACLI.

1961-1967 DA MOVIMENTO DI DIFESA A ORGANIZZAZIONE CULTURALE
In questo periodo la vita dei CIRCOLI e delle CASE DEL POPOLO risente dei mutamenti profondi in atto nel paese.Il cosiddetto "miracolo economico", pur caratterizzato da profondi squilibri, sperequazioni e contraddizioni economico-sociali, determina tuttavia un notevole sviluppo produttivo e l´espansione del lavoro terziario. Aumenta il reddito pro-capite ed aumentano i consumi, in particolare quelli dei beni durevoli. L´espandersi della motorizzazione privata e la televisione hanno conseguenze dirette sulle abitudini e sul costume della gente modificandoli sensibilmente. Le trasformazioni tecnologiche da una parte e la ripresa del movimento sindacale dall´altra, portano alcuni risultati a favore dei lavoratori, come la riduzione dell´orario di lavoro a 40 ore settimanali e l´aumento dei salari fortemente corrosi dalla rapida crescita dell´inflazione. L´ARCI e´ impegnata a favorire l´apertura delle CASE DEL POPOLO al nuovo rappresentato dai giovani.Si formano le commissioni giovanili ed in alcuni casi veri e propri CIRCOLI autonomi giovanili all´interno delle CASE DEL POPOLO, talvolta in contrapposizione ai Consigli direttivi delle stesse. La campagna di solidarietà con il popolo Vietnamita segna un altro momento significativo di impegno del movimento associativo di quegli anni. Nello stesso periodo l´ARCI, oltre a reagire alla repressione e agli espropri delle proprie sedi territoriali con la costruzione e l´apertura di nuovi CIRCOLI e CASE DEL POPOLO, comincia il suo vero lavoro culturale.Già verso la fine del 1960 era stata costituita la Cineteca e cominciava a consolidarsi un lavoro nel Cinema.Nel maggio 1961, con un Convegno organizzato a Firenze, l´ARCI avvia un processo di elaborazione teso a sviluppare una propria iniziativa capace di contribuire al superamento della separazione esistente nel paese fra "la cultura dei semplici" e "la cultura degli intellettuali". In quel contesto promuove una importante riflessione sulla definizione di "tempo libero", "tempo di non lavoro" e contemporaneamente un confronto e approfondimento con l´elaborazione teorica riferita a quel tema. Siamo nel periodo in cui il teatro italiano viene fruito solo da un ristretto ceto sociale; la censura imperversa sulla produzione culturale di massa (cinema, musica, TV, ecc.); la scuola media obbligatoria diventa norma di legge solo nel 1962. Nel 1961 viene costituita l´ARTA (Associazione dei radioteleabbonati) con la quale inizia l´azione per arrivare alla riforma dalla RAI (la TV è sotto il controllo diretto del Governo e, in particolare, della DC).Nel 1962 l´ARTA costituisce centri d´ascolto e il premio per le migliori produzioni televisive, che le consentiranno tra l´altro un rapporto positivo con gli operatori del settore. Non si dimentichi che la prima rilevazione sui tempi di occupazione del telegiornale, da parte dei partiti di governo, e lo studio semiologia dei messaggi televisivi condotto da Umberto Eco, viene effettuata dal SAP, gruppo di ascolto ARCI di Bologna. Nel 1966, il IV Congresso stabilisce che l´ARCI puo´ dar vita a proprie Associazioni in settori specifici dell´attività culturale o ricreativa. Nel 1967 viene costituita l´UCCA e comincia il lavoro di costruzione di ARCI Sport che porterà, negli anni successivi, alla nascita di ARCI Caccia e di ARCI Pesca.Nell´agosto del 1967, anche grazie all´impegno di Pietro Nenni, allora vicepresidente del Consiglio, giunge, il riconoscimento ministeriale, mentre l´Associazione sta discutendo l´organizzazione di una struttura di servizio impresariale per gruppi teatrali di base presenti nell´ARCI o collegati ad essa. E´ per questo che, a Prato, viene organizzato un Convegno, al quale partecipa anche Dario Fo, per discutere come agire per superare la grave chiusura elitaria e tradizionalista del teatro italiano.

1968-1971 I CIRCUITI ALTERNATIVI E L'ESPANSIONE DELL'ASSOCIAZIONE
L´ARCI affronta il biennio ´68-´69 forte di una elaborazione che la rende sensibile e ricettiva alle tematiche che il movimento giovanile, poi operaio, di quegli anni porteranno avanti.Per certi versi si potrebbe dire che l´ARCI anticipa parte delle argomentazioni critiche contro la "cultura borghese" e a favore di una crescita culturale di massa. Il giudizio che l´ARCI esprime, già a metà degli anni sessanta, e´ deciso e pesantemente critico verso il mercato e l´industria culturale di quegli anni.Nel cinema porta avanti una proposta di riforma, critica fortemente la distribuzione commerciale, continua la sua battaglia contro la censura. In campo teatrale, già da alcuni anni ha promosso la nascita di gruppi teatrali (in particolare a Firenze e Perugia con i CUT) e di un nuovo pubblico fuori dalle sedi canoniche.Il Convegno di Prato del 1967 registra l´incontro fra le formazioni e gli operatori teatrali cresciuti attorno all´ARCI, le esperienze di nuovo teatro, tra cui quella di Dario Fo, da poco avviata a Milano in collaborazione con l´ARCI della città. Nasce da questo clima e da questi rapporti l´esperienza del circuito teatrale alternativo e si sviluppa la stagione dei cineforum. Un´altra esperienza di grande interesse nell´azione culturale dell´ARCI, seppure limitatamente a alcune zone del paese, e´ quella che nasce attorno ai limiti della scuola dell´obbligo. Dal 1968, anche grazie al contributo che viene dalle analisi di Don Milani, alcuni Comitati e CIRCOLI dell´ARCI, soprattutto in Toscana e, in particolare Firenze, sperimentano forme di doposcuola. A appena sei anni dall´estensione dell´obbligo scolare fino ai 14 anni di età, l´Istituzione Scolastica appare impreparata a rendere effettivo questo diritto, emarginando molti ragazzi , quasi sempre, di estrazione operaia o contadina.L´ARCI passa, rapidamente, dall´idea di estendere i doposcuola alla costruzione di occasioni e sedi di iniziativa per e con i ragazzi, capaci di fornire stimoli e esperienze che la scuola non puo´ dare loro.In un Convegno immediatamente successivo, a Firenze, nasce la proposta di costruire un movimento dei ragazzi; purtroppo allora non se ne farà nulla.

1972-1978 I MOVIMENTI STUDENTESCHI E DEI LAVORATORI. LA PROGRAMMAZIONE CULTURALE SUL TERRITORIO
Nel 1971 aderiscono all´ARCI 3300 CIRCOLI e CASE DEL POPOLO.Il tesseramento sfiora i 600.000 soci. In un clima di reazione ai grandi movimenti studenteschi e operai degli ultimi anni ´60 e dei primi anni ´70 vanno collocati anche gli attacchi fascisti ad alcune CASE DEL POPOLO alla fine del 1972. Tra quelle prese di mira dal teppismo fascista e danneggiate seriamente ricordiamo quelle di Sesto San Giovanni (MI), Rufina (FI) e Pisa.Il movimento circolistico, e´ impegnato in grandi campagne politiche di impegno civile e di solidarietà, attraverso migliaia di manifestazioni organizzate dai CIRCOLI e le CASE DEL POPOLO contro il "golpe" fascista cileno o per sostenere la battaglia referendaria a favore della legge per il divorzio. Nel frattempo, con la costituzione delle regioni e la conseguente abolizione dei cosiddetti "enti inutili", viene avanzata la proposta formale dell´abolizione dell´ENAL, sancita dal parlamento con la legge del 21/10/78. Si consolida in questi anni il rapporto unitario con Acli e Endas. Insieme le tre piu´ importanti associazioni italiane daranno vita a esperienze unitarie molto significative. Tra queste la raccolta di firme per l´abolizione dell´Enal e la cosituzione nel 1972 del C.I.C.A., comitato interassociativo circoli aziendali. Nel 1973 il fatto di vita interna piu´ importante, l´unificazione tra ARCI e UISP, centrale di cultura, tempo libero e sport.L´associazione continua a essere un punto di riferimento importante per i movimenti di lotta di quel periodo, soprattutto sul terreno culturale. Prosegue il suo impegno per la democratizzazione della cultura attraverso nuovi strumenti e progetti. Dalla esperienza e dalla critica al circuito alternativo si passa alla proposta della programmazione culturale sul territorio, nel tentativo di coinvolgere nella socializzazione della cultura gli enti locali, profondamente rinnovati nelle elezioni del 1976. Nel 1972 nasce il circuito democratico del cinema, la cooperativa Nuova Comunicazione dell´ARCI promuove nella distribuzione cinematografica film come "S. Michele aveva un gallo" dei fratelli Taviani, "Il Messia" di Rossellini e il cinema latino-americano di Littin, Guerra e altri.

1979-1983 IL RUOLO DELL'ASSOCIAZIONISMO NELLA SECONDA FASE DELLA STORIA REPUBBLICANA
La prima metà degli anni ´80 e´ caratterizzata dall´impegno dell´associazione (dal congresso del 1976 si chiama ARCI, associazione di cultura, sport e ricreazione) nel sollecitare e promuovere la nascita di nuovi soggetti associativi sulla base dei valori propri della sua storia.Lo slogan e´ creare aggregazione ovunque esprimiamo opinioni, esprimere opinioni ovunque aggreghiamo. Da queste fermento nascono numerosi soggetti associativi, alcuni dei quali, oggi completamente autonomi, sono ancora protagonisti determinanti della nostra società civile. Altre esperienze riconfluiranno invece dentro l´ARCI. Si tratta, ricordandole in modo sommario per capire l´attivismo di quegli anni, della Lega Ambiente e del suo giornale Nuova Ecologia, della LEID, lega emittenza democratica, dell´ARCI KIDS, dell´ARCI GAY, dell´ARCI DONNA, dell´ARCI RAGAZZI, dell´ARCI GOLA, dell´ARCI MEDIA. I loro nomi dicono già quali sono stati i terreni di impegno dell´associazione in quel periodo.Aggiungiamo a questi solo alcune, tra le tantissime esperienze di lavoro e mobilitazione di quegli anni: dai concerti di Patti Smith e Lou Reed che riaprono la stagione dei grandi concerti dopo la chiusura nelle case negli anni del terrorismo, alla mobilitazione a favore delle popolazioni colpite dal terremoto dell´Irpinia, dall´impegno pacifista, a partire dalla III marcia della Pace Perugia-Assisi, Matite per la pace, Comiso, alla I Biennale dei giovani artisti di Barcellona.Nell´86 l´associazione cambia ancora modello organizzativo, trasformandosi in confederazione di associazioni autonome. A completare questo mosaico di associazioni autonome, con una storia comune (Uisp, ArciCaccia, Lega Ambiente, Arci Gay, Arciragazzi, Movimento Consumatori ecc.), che aderiscono e costituiscono la confederazione ARCI, nasce nel 1987 ARCI NOVA, che prende l´eredità della vecchia Arci nel rapporto col tessuto circolistico e nell´impegno sul terreno culturale.

1984-1995 LA FINE DELL'ESPERIENZA CONFEDERALE, IL RITORNO ALLA CENTRALITà DEI CIRCOLI E IL PROGETTO DELLA NUOVA ARCI
Nell´86 l´associazione cambia ancora modello organizzativo, trasformandosi in confederazione di associazioni autonome. A completare questo mosaico di associazioni autonome, con una storia comune (Uisp, ArciCaccia, Lega Ambiente, Arci Gay, Arciragazzi, Movimento Consumatori ecc.), che aderiscono e costituiscono la confederazione ARCI, nasce nel 1987 ARCI NOVA, che prende l´eredità della vecchia Arci nel rapporto col tessuto circolistico e nell´impegno sul terreno culturale.Nella seconda metà degli anni ´80 il sistema confederale Arci stenta a ricondurre ad unità la sua galassia di associazioni tematiche e tende ad una progressiva frantumazione, nonostante che l'orizzonte ideale e culturale resti potenzialmente unitario. L´associazione soffre il rischio di uno scollamento fra la sua dimensione nazionale e le strutture di base, e vive un po´ ripiegata su se stessa alla ricerca di un nuovo modello organizzativo. Nonostante ciò l'universo Arci continua a svolgere una funzione, spesso insostituibile, di aggregazione sociale e di stimolo alla partecipazione, contribuendo alla tenuta democratica e alla difesa dei valori civili nei difficili anni ´80, caratterizzati dal dilagare dell'individualismo e dell'omologazione culturale. In questi anni l´iniziativa dell´Arci e successivamente di Arcinova da vita a progetti culturali importanti, che talvolta assumono rilevanza di livello nazionale ed anche europeo. All´inizio degli anni ´90, con il crollo dei sistemi del cosiddetto "socialismo reale" e le grandi modificazioni dello scenario nazionale e internazionale che l'accompagnano, si apre una fase completamente nuova anche in Italia. Il contesto politico muta profondamente, la vicenda di tangentopoli apre la strada ad ulteriori cambiamenti, entra in crisi la credibilità del sistema dei partiti, si allarga la distanza fra cittadini, politica ed istituzioni, creando un pericoloso indebolimento della dimensione pubblica della vita civile. Un vuoto di rappresentanza e di relazioni che spesso viene colmato proprio dalle funzioni svolte da associazioni, organizzazioni della società civile, movimenti che con diverse modalità si fanno interpreti di un bisogno di protagonismo civile non soddisfatto. La Confederazione Arci, che non a caso intitolava il suo congresso del 1989 "per una cultura europea della solidarietà e delle differenze", ed Arcinova, creata per dare nuova vitalità al ruolo dei circoli di base, reagiscono alle sfide poste dai grandi cambiamenti in atto approdando a una comune volontà di rinnovamento che parte anzitutto dal recupero dei valori originari dell'esperienza storica dell'Arci: la solidarietà, la mutualità, la promozione e la sperimentazione culturale, la partecipazione attiva e consapevole dei cittadini alla vita democratica. Un processo che si fonda sul pieno recupero delle funzioni storiche di circoli e case del popolo, strutture portanti del sistema Arci, rete di luoghi della partecipazione consapevole e della promozione umana e civile degli individui attraverso le esperienze collettive. In questa fase il processo di rinnovamento dell'Arci produce nuovi settori di attività che sempre più si integrano con le funzioni tradizionali dei circoli, nel campo dell'impegno sociale e della solidarietà, della cooperazione e delle relazioni internazionali, delle iniziative di lotta all´esclusione sociale e al razzismo.Nel 1994 inizia il percorso che porta alla costituzione di "Arci Nuova Associazione", soggetto in cui confluiscono Arcinova e molte delle esperienze nate negli ultimi anni nell'ambito della Confederazione (arcisolidarietà, solidarietà internazionale, nero e non solo ecc.). L'intento è quello di raccogliere l'eredità della tradizione associativa di base dell´Arci, con i suoi valori originari di mutualità e solidarietà, e investirla in un nuovo progetto adeguato ai bisogni della società che cambia. Al centro di questo progetto, di cui Arcinova è la struttura portante, ci sono le persone e i loro bisogni, l'emergenza di nuovi soggetti sociali, l'innovazione delle poltiche di welfare, i diritti di cittadinanza, la cultura della convivenza e della pace, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica.Altre realtà da sempre legate all'Arci come la Uisp, o nate più recentemente nel suo ambito come Legambiente, Arci Gay, Arci Ragazzi e Movimento Consumatori, stipulano con la nuova associazione un patto federativo, aperto ad accogliere altre esperienze.

1996–2007 L’OPPOSIZIONE AL BERLUSCONISMO, LA STAGIONE DEI MOVIMENTI, IL NUOVO PROTAGONISMO POLITICO DELL’ARCI
Nel 1994 diviene presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con una decisa affermazione elettorale di Forza Italia, movimento politico nato come risposta moderata e neoconservatrice alla crisi del sistema democristiano, attorno al quale si consolida un nuovo asse di centro-destra che persegue una svolta iperliberista in campo economico e l'esasperazione del conflitto sociale. E' l'inizio del "berlusconismo", fenomeno che va ben oltre la figura del suo leader e porta alla graduale affermazione di un modello di società fondato su nuovi conformismi ideologici, individualismo, egoismo corporativo, esclusione dei soggetti più deboli, abbassamento dei diritti e delle tutele sociali. Sono tendenze destinate ad incidere a fondo nell'evoluzione della società italiana, nonostante la parentesi di un quinquennio di governo del centrosinistra, che vince le elezioni del 1996 con la coalizione guidata da Romano Prodi dopo una campagna politica diffusa in cui l'Arci impegna tutte le sue forze.Sono anche gli anni della guerra della NATO contro la Serbia. L'Arci si schiera decisamente contro la scelta del governo di centro sinistra di appoggiare la missione e promuove numerose iniziative concrete di intervento umanitario nei paesi dell'ex-Jugoslavia, nei quali è già da anni attiva con progetti di solidarietà e cooperazione.Nell'aprile del 1997 nell'XI congresso nazionale di Roma viene eletto presidente Tom Benetollo, figura di primo piano del pacifismo italiano e non solo, che sarà l'artefice del rilancio progettuale e politico dell'associazione negli anni successivi, ma scomparirà prematuramente il 20 giugno 2004.Nella seconda metà degli anni '90 l'Arci è fra i protagonisti più attivi della fertilissima stagione del terzo settore italiano, in cui si costruiscono nuove relazioni ed alleanze fra le reti dell'associazionismo laico e cattolico, del volontariato e della cooperazione sociale. L'Arci è fra i fondatori del Forum Nazionale del Terzo Settore e della Banca Popolare Etica, di Libera (associazione di associazioni contro le mafie) e di TransFair (network italiano per la promozione del commercio equo e solidale), tutte esperienze che avranno un peso decisivo nell'affermazione di temi di grande rilievo negli anni a venire.Sempre in questo periodo l'Arci consolida molte delle sue tradizionali campagne: il Meeting Europeo Antirazzista, la Festa della Musica e la Giornata del Teatro, la Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa e del Mediterraneo sono solo alcuni degli esempi.Il 30 settembre del 1999 a Seattle, con le manifestazioni di protesta in occasione della riunione del Wto, emerge all'attenzione del mondo per la prima volta in modo clamoroso la protesta dei movimenti di critica agli aspetti economici, sociali, culturali e politici della globalizzazione neoliberista. Ben presto il movimento "per un mondo diverso possibile" diviene un fenomeno planetario. L'Arci sceglie di esserne protagonista, e partecipa fin dal 2001 al Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre in Brasile.Nel maggio 2001 in Italia torna al Governo la coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi. Il 20 luglio si riunisce a Genova il vertice dei G8, le otto maggiori potenze del pianeta. Il movimento antiglobalizzazione organizza imponenti contestazioni che portano nella città ligure centinaia di migliaia di manifestanti da tutto il mondo. L'Arci è tra gli organizzatori e mobilita migliaia di soci. Le forze dell'ordine reprimono duramente le manifestazioni causando la morte del giovane Carlo Giuliani e si rendono responsabili di violenze gravissime sui manifestanti. Le giornate di Genova saranno ricordate come il più grave episodio di violazione delle libertà democratiche nella storia recente del paese.L'11 settembre dello stesso anno il terrorismo islamico porta il suo attacco al cuore dell'America di Bush, colpendo le Torri Gemelle e causando migliaia di morti. La risposta Usa non si fa attendere ed è l'aggressione all'Afghanistan in nome della guerra globale al terrorismo. Il 14 ottobre si svolge una delle più grandi marce della Pace Perugia-Assisi con una foltissima partecipazione dell'Arci. In risposta alla spirale di guerra e terrore cresce la domanda di pace fra milioni di persone.Il 23 marzo 2002 l'Arci partecipa alla manifestazione nazionale indetta dalla CGIL contro l'attacco del governo allo statuto dei lavoratori. Ben tre milioni di persone invadono Roma, ed è una risposta straordinaria alle politiche neoliberiste del centro-destra. Nel frattempo il movimento altermondialista, superato lo shock di Genova, lavora alla preparazione del primo Social Forum Europeo. Come sede dell'appuntamento continentale viene scelta Firenze, e l'Arci ha un ruolo determinante nella costruzione dell'evento, in una situazione difficile per la violenta campagna allarmistica scatenata dalla destra e dai maggiori mezzi di informazione. Nonostante i pesanti tentati di boicottaggio il Forum si svolge regolarmente dal 6 al 10 novembre ed è un successo straordinario di partecipazione e di consensi. Per il movimento si aprono inedite opportunità per portare al centro dell'agenda politica i temi altermondialisti. Pochi mesi dopo, il 15 febbraio del 2003, contro la minaccia di una nuova guerra Usa all'Iraq si tengono in contemporanea in tutte le capitali del pianeta centinaia di manifestazioni pacifiste. La più imponente è quella di Roma, costruita grazie alla convergenza unitaria di tanti soggetti diversi nel Comitato "Fermiamo la Guerra", al quale l'Arci dedica moltissime energie. Mobilitazione che continuerà con grande intensità nei mesi successivi per chiedere la fine della guerra e dell'occupazione militare dell'Iraq.In questi anni l'Arci sta diventando un enorme laboratorio sociale, politico e culturale. Migliaia di eventi coinvolgono le sue strutture territoriali e mostrano un'associazione più che mai vitale, che si misura con i grandi temi della pace, della giustizia, dei diritti, coniuga partecipazione e associazionismo con la critica del sistema sociale ed economico mondiale, moltiplica i suoi campi di intervento. I terreni di elaborazione ed iniziativa sono ormai tantissimi, dalla cultura ai progetti nel welfare locale, e poi antimafia, diritti dei migranti, pace e cooperazione, campagne sui diritti civili, consumerismo, ambiente, la promozione della cittadinanza attiva, il rinnovamento della politica attraverso la partecipazione responsabile dei cittadini.Nel 2004 l'Arci perde improvvisamente Tom Benetollo. E' un colpo durissimo per l'associazione, che però dimostra di saper reagire con maturità, compie le sue scelte tempestivamente e con grande unità e riprende senza esitazioni il suo cammino. Nei mesi che seguono l'Arci dedica un notevole sforzo alla costruzione di coordinamenti nazionali di lavoro che garantiscano il coinvolgimento costante delle strutture territoriali nell'elaborazione delle politiche e dei programmi dell'associazione in ciascuna delle sue principali aree di intervento (cultura, attività internazionali, welfare, immigrazione). Fra il 2004 e il 2005 si tengono importanti e partecipati momenti di approfondimento seminariale per i dirigenti territoriali sui temi delle attività internazionali (a Siena), della cultura (a Cortona), del welfare (a Terni), degli strumenti organizzativi (a Modena).La fitta rete di relazioni e alleanze costruita negli ultimi anni fa dell'Arci un punto d'incontro e spesso di sintesi di molti percorsi politico/associativi. Il suo impegno nel campo della sostenibilità, dell'altraeconomia e della finanza etica cresce con la partecipazione ad appuntamenti nazionali come Terra Futura e la rete Sbilanciamoci. Si intensifica il lavoro sul terreno dei diritti di cittadinanza con la mobilitazione contro i Cpt e per il diritto di voto dei migranti, nuove campagne di grande coinvolgimento si sviluppano sul tema del lavoro precario, le attività internazionali si arricchiscono dell'esperienza dei campi di lavoro all'estero per i giovani. Un forte impegno viene profuso nel sostegno al referendum sulla procreazione assistita (2005) e a quello, fondamentale, in difesa della Costituzione (2006). L'associazione partecipa attivamente al dibattito politico della sinistra sostenendo lo sforzo unitario che porterà alla nascita della coalizione dell'Unione per le elezioni del 2006 e contribuisce, con le proposte della campagna "Cambiare si Può", alla costruzione di quello che sarà il programma del governo guidato da Romano Prodi.Nel febbraio del 2006, a Cervia ben 500 delegati partecipano al congresso nazionale dell'associazione, dopo una campagna congressuale partecipata come mai era avvenuto, con centoquaranta congressi territoriali, oltre mille assemblee di circolo e circa 35.000 soci direttamente coinvolti nella discussione. In un clima fortemente unitario, il congresso di Cervia segna l'approdo della lunga fase di transizione avviata all'inizio degli anni ‘90. L'associazione rilancia con forza il suo progetto e decide di eliminare ogni aggettivo dal suo nome per tornare a chiamarsi semplicemente Arci, come nel 1957. Il miglior segnale di vitalità per un'associazione antica e capace di grande modernità, che a cinquant'anni dalla fondazione conferma di essere una forza viva della società italiana, una risorsa per costruire un paese migliore.

giovedì 3 gennaio 2008

Che cos'è l'Arci


L’Arci è un’Associazione di Promozione Sociale e Civile.

Con oltre un milione di soci e 5400 circoli costituisce un ampio tessuto della partecipazione democratica. E’ impegnata nella promozione e nello sviluppo dell’associazionismo come fattore di coesione sociale, come strumento di impegno civile, promozione della pace e dei diritti di cittadinanza, lotta contro ogni forma di esclusione e discriminazione.

Le Attività Culturali

I Circoli Arci sono una grande rete di esperienze culturali, spazi per produrre e consumate cultura, laboratori della creatività giovanile. L’Arci promuove il diritto alla cultura, il libero accesso alle conoscenze, la circolazione delle idee e dei saperi, le diversità culturali.

Un Mondo diverso

L’Arci sostiene le varie forme di resistenza civile contro la guerra e le ingiustizie, i movimenti sociali che ovunque si battono per la pace, la giustizia globale, la democrazia. E’ impegnata a costruire reti e alleanze globali per il cambiamento; a creare coscienza e consapevolezza della dimensione planetaria dei problemi nella società italiana.

Estendere e rinnovare il welfare

Attraverso la rete dei suoi circoli territoriali, l’Arci sviluppa attività e progetti innovativi nell’ambito delle politiche educative, dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza, dalla salute mentale, delle tossicodipendenze, del carcere, del sostegno e dell’inserimento di soggetti svantaggiati, delle opportunità sociali per gli anziani.

Migranti: Cittadinanza, diritti, inclusione.

L’Arci è impegnata nella lotta contro il razzismo e nell’impegno per il diritto dei migranti. L’Arci rivolge agli immigrati numerose attività di accoglienza, tutela, consulenza e orientamento, formazione, insegnamento della lingua italiana, sostegno all’inserimento scolastico.

L’Antimafia Sociale.

L’Arci è impegnata nella lotta contro la mafia, con il lavoro di animazione territoriale dei suoi circoli, la Carovana Antimafia, i campi di lavoro sulla legalità, i progetti di utilizzo sociale dei beni confiscati, la partecipazione alle campagne e ai progetti di Libera.

L’Associazione del Tempo Liberato.

I circoli Arci sono capaci di legare l’impegno civile alle opportunità di svago e di ricreazione. Promuovono mille occasioni per un uso intelligente e non mercificato del tempo libero: cultura, spettacoli, film, dibattiti, corsi; ma anche il ballo, i giochi tradizionali, le attività di turismo sociale, le sagre, le cene sociali.

L’Associazione delle libertà è dei diritti civili.

L’Arci è un’associazione laica e libertaria, perché crede nella uguale dignità delle persone, nelle pari opportunità di genere, nel valore delle diversità culturali, nella piena libertà di pensiero e di espressione, di credo religioso, nell’autonomia e nella laicità delle istituzioni democratiche.

Noi non vogliamo archiviare il G8


Noi non vogliamo archiviare il G8. E non vogliamo archiviare il movimento che lo ha costruito. C'è davvero un gran bisogno di non archiviare, nonostante le voci dei benpensanti che ripetono: "adesso basta con questa storia".

Ce n'è bisogno perché da quel luglio 2001 sono successe molte cose. Fatti culturali e politici di grande rilievo. Alcuni dicono che il G8 di Genova sia stato una sorta di mito fondativo per un movimento che di strada ne ha fatta davvero tanta. E forse hanno ragione, perché davvero quel movimento ha disvelato e portato in primo piano una questione capitale: le ingiustizie di questa globalizzazione.

Ma quelle ingiustizie, anziché attenuarsi, si sono radicalizzate: due guerre sono intercorse; l'11 settembre ha ulteriormente sbarrato la strada alla costruzione di un equilibrio geopolitico; l'ennesimo G8 non ha concluso nulla, ed ora le nuove inquietanti proposte del WTO.Tuttavia le idee di quel movimento sono cresciute, diventando senso comune e acquisizione matura della necessità di un cambiamento di rotta. Lula ha vinto le elezioni in Brasile e la destra comincia ad arrancare in Europa. Il vento non è ancora quello giusto, ma comincia a spirare.

Ne abbiamo fatta di strada. Purtroppo la discussione politica in Italia è condizionata dalla presenza ridondante del Cavaliere, che con le sue proposte immorali costringe la sinistra alla discussione su temi davvero poco interessanti per il futuro del Paese e di noi tutti esseri umani.Mentre ci accapigliamo a discutere del lodo Schifani, diventano esecutive una serie di leggi sul lavoro che reiseriscono tipologie lavorative che speravamo spazzate via dalla storia. E mentre tutti discutono del perseguitato Previti, passano leggi sulla gestione dei servizi di pubblica utilità che privatizzano anche le lumache di passaggio per i giardini di quartiere.

Ma sono altre le questioni vere. Anche per questo è stato importante rivederci tutti a Genova intorno al 20 luglio.

Amnesty international ha definito i fatti di Genova come la più grande violazione dei diritti umani in un paese occidentale dalla seconda guerra mondiale ad oggi. La magistratura più coraggiosa ha scoperto qualcosa del disegno repressivo di Genova. Pensiamo alla Diaz: per tutte le persone coinvolte - accusate di resistenza aggravata - è stata richiesta l'archiviazione. Ed è il minimo: non avevano fatto nulla. E' ormai accertato che le molotov trovate nella scuola sono state nascoste lì col tacito assenso di altissimi funzionari di polizia; è stato dimostrato che il poliziotto che aveva detto di essere stato accoltellato - motivo ufficiale per cui erano scattate la repressione e la violenza - ha mentito palesemente. Sulla caserma di Bolzaneto ancora dobbiamo sapere molte cose, ma anche qui stanno venendo alla luce comportamenti non chiari delle forze dell'ordine.

Ma esiste purtroppo - e non è guaio da poco - una Magistratura meno coraggiosa che ci dice che non c'è "nessun colpevole" per le violenze gratuite perpetrate in strada, e che fa vergognosamente archiviare il caso Giuliani. Troppe erano e sono le versioni dei fatti spesso contrastanti tra di loro su quella tragica vicenda. La presenza di quelle contraddizioni doveva portare ad un pubblico dibattimento in aula, affinchè si scoprisse la verità. Avere archiviato quel caso è un atto grave che ancora una volta ci allontana dalla verità. E non solo da quella relativa a Piazza Alimonda, ma anche da quella sino ad oggi inesplorata, e molto inquietante, dei fatti di via Tolemaide.

Nessuno di noi vuole restare su quelle vicende per tutta la propria vita, con un atteggiamento inutilmente nostalgico. Ciascuno di noi - però - chiede semplicemente due cose: verità e giustizia. Le otterremo mai? Chissà. Intanto, non possiamo non appoggiare i comitati e le associazioni che stanno lavorando perché certe vergognose menzogne non ci inquinino più.

Comitato Piazza Carlo Giuliani http://www.piazzacarlogiuliani.org/

Comitato Verità e Giustizia per Genova http://www.veritagiustizia.it/