giovedì 22 dicembre 2011

Governo Monti: una manovra iniqua e recessiva

Non ci è dato sapere il mestiere dello zio di Bonanni, ma sicuramente sono più conosciute le provenienze dei ministri del nuovo governo. La manovra che, secondo le dichiarazioni di Monti, dovrebbe essere approvata entro Natale, ammonterà a regime nel 2014 a circa 48 miliardi di euro, quasi il 2,5 per cento del PIL attuale. Analizzata nei suoi provvedimenti principali, appare subito evidente che le risorse vengono in gran parte recuperate dalle fasce di popolazione economicamente e non solo più deboli. Ma non basta. La manovra viene considerata da molti anche recessiva. Il sito di economisti lavoce.info intitola un articolo di Sergio de Nardis: ‘Sarà recessione. E sarà grave.’ La CGIA di Mestre calcola che la pressione fiscale aumenterà nel 2014 fino al 44,1%. «Iniqua e recessiva» sono le parole usate da Susanna Camusso, a commento del provvedimento, ed è difficile non condividerle: quasi tutti i sondaggi indicano che più del 60% degli italiani la pensano allo stesso modo. Non essendo prevista una vera patrimoniale, auspicata da molti, il peso ricade sui soliti noti. È quindi importante approfondire, senza pregiudizi ma con attenzione, i principali provvedimenti. La manovra produrrà per il 60% nuove entrate e per il 40% agisce sulla riduzione della spesa, anche grazie alla progressiva privatizzazione di società come Eni, Enel, Terna, Finmeccanica, un vero piano di dismissioni delle partecipazioni azionarie dello Stato e di enti pubblici non territoriali. Dovrebbe inoltre contribuire alla riduzione della spesa anche il taglio ai costi della politica, per ora poco incisivo. Nel capitolo relativo alle entrate, il taglio delle agevolazioni fiscali peserà in particolare sulle economie familiari medio-basse.

Considerando la quantità di working poors, forte è il timore che aumentino i nuovi poveri anche tra le famiglie del ceto medio, spesso destinatarie di quelle agevolazioni. Stesso discorso per l’aumento delle aliquote IVA del 4%, tra l’altro molto legate al mondo della produzione artistico-culturale, a noi vicino. Anche la reintroduzione del ticket di 10 euro contribuisce a spostarne il peso verso i più deboli. Se aggiungiamo i provvedimenti su Ici e previdenza, è ancor più evidente chi pagherà la crisi, con una sottolineatura per donne e giovani precari, in un Paese in cui la percentuale di giovani disoccupati, già tra le più alte d’Europa, è in costante aumento. Se poi pensiamo all’ulteriore stretta sui Patti di Stabilità per gli Enti Locali, tremiamo all’idea di cosa accadrà alle politiche sociali e culturali di Regioni e Comuni. Avremmo voluto vedere un netto cambio di rotta rispetto alle ricette finora seguite in Italia e in Europa per affrontare la crisi che è economica, ma anche culturale e sociale. Crisi di degenerazione delle relazioni umane e sociali delle nostre comunità, col rischio - e lo stiamo vedendo - di pericolosi scivolamenti verso la guerra tra poveri, la paura del diverso, il razzismo...

Ci sarebbe piaciuto scommettere su politiche di sviluppo attente alla cura dei Beni Comuni e alla loro pubblicizzazione, agli investimenti sulla messa in sicurezza del territorio e del paesaggio. La rigenerazione urbana, l’investimento sulla sicurezza ambientale delle nostre città, la valorizzazione dei territori, delle eccellenze presenti, le imprese artigiane e contadine. Fuori dalla retorica della green economy, ma con scelte che in altri Paesi europei rappresentano il simbolo di una riconversione ambientale dell’economia, che inizia a produrre salute generale e occupazione. Ed ecco allora che diventa basilare capire quanto la nostra associazione, soprattutto i nostri circoli, siano fondamentali in questa fase, da un lato come presidi di socialità solidale, dall’altro come laboratori di cambiamento, sia di stili di vita e pratiche di consumo, sia soprattutto di nuova economia, alternativa, no profit, ma inseriti nel più generale contesto profit, che però deve cambiare anch’esso: non alla ricerca di una ‘umanizzazione’ di questa economia, ma verso la pratica di una altra economia, più solidale, più giusta, che protegga l’ambiente e di chi lo abita.

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